La carica dei bambini che dicono: lasciateci lavorare

articolo apparso su "ILVENERDI' di Repubblica" del 10 novembre 2006 n°973

Vengono da Paesi poveri e si sono riuniti in un'associazione che affronta un tema scottante: l'impiego di minori. Da abolire, certo. Ma, replicano loro, qual'è l'alternativa per chi non ha mezzi? Una provocazione? No, una campagna sostenuta dall'Unicef e da Save the children

di Paola Zanettini

venditore di fiori

Dal mese scorso, l'India che vuole mettrsi al passo con il probo Occidente ha proibito il lavoro minorile. O meglio, ha allungato la lista di lavori pericolosi già vietati ai minori di 14 anni da una legge del 1986. D'ora in poi è considerato pericoloso, e punibile, impiegare bambini in alberghi, mense, ristoranti, case private, commerci ambulanti, chioschi e negozi. Che queste occupazioni comportino rischi di riduzione in schiavitù, maltrattamenti e persino sfruttamento sessuale non c'è dubbio, ma sui rischi che corrono m ilioni di piccoli lavoratori e lavoratrici ricacciati sulla strada o nell'indigenza assoluta, il legislatore non si è dato troppo pensiero. Non se n'è dato neanche sulla scarsa applicazione della precedente legge in vigore da vent'anni: la tumultuosa crescita dell'eco9nomia indiana si regge anche sul lavoro di almeno 50 milioni di bambini, che contribuiscono per il 23 per cento al PIL nazionale. Da questa parte del mondo, l'idea di far lavorare i bambini è comprensibilmente considerata un abominio, ma, dall'altra parte, la questione si pone diversamente.
Dei circa 400 milioni di bambini che lavorano in Africa, Asia e America Latina, una buona parte non è stata venduta dai genitori o ridotta in schiavitù da infami trafficanti: è stata semplicemente costretta dalle circostanze. Orfani, bambini di starda, figli di famiglie numerose o incapaci di mantenerli hanno dovuto cominciare a darsi da fare molto prima dei loro coetanei occidentali. Per provvedere a se stessi e ai loro parenti. Non è il miglior modo di vivere l'infanzia, ma è l'unico modo che hanno e se lo tengono stretto. Opponendosi alle abolizioni del lavoro minorile e battendosi invece per migliorarne le condizioni.
Per tenere il loro terzo incontro mondiale e far sentire le loro ragioni, sono arrivati in Italia da tre continenti 24 rappresentanti dei NATs, Niños y adolescentes trabajadores, organizzazione sorta trent'anni fa, con l'aiuto di alcune ONG, in America Latina che riunisce circa 80mila piccoli lavoratori. A Roma li ha ospitati l'Unicef e ascoltare questi piccoli contadini, benzinai, commessi, scaricatori che riescono a guadagnarsi da vivere e anche a studiare quel poco che li possa avviare ad un lavoro migliore è stato sconcertante.
Ayaamma "Ho 14 anni e sono indipendente da quando ne avevo 12" ha detto Ayaamma, venuto da Nuova Delhi. "Faccio il cameriere in un tea shop, apro il negozio all'alba e lo chiudo di sera tardi ma durante il giorno ho delle ore libere per andare a scuola e studiare. Di notte dormo nel rifugio della Ong che ospita i bambini dii starda. In città ce ne sono tantissimi che vivono come me e non sono affatto delinquenti. Io cerco anche di risparmiare qualche soldo da portare alla mia famiglia, al villaggio. Adesso che i camerieri minori di 14 anni sono fuorilegge che faranno? Se li trova a lavorare il governo vuole mandarli negli istituti ma, negli istituti, la gente scompare. E le scuole non valgono niente, non bastana neanche per i ragazzi che se le possono permettere".
Victor Villalba, 18 anni, venditore ambulante in Paraguay, ha rincarato: "Le politiche sociali le decidono gli intellettuali che non conoscono la nostra situazione: se parlano di noi devono consultarci". VictorNon è spacconeria o velleitarismo. I NATs, con il loro slogan-manifesto "Non siamo il problema, ma parte della soluzione" hanno avuto diritto di parola all'Onu e ce l'hanno nelle commissioni di alcuni parlamenti nazionali, ma ancor di più nei consigli di villaggio o di comunità.
La loro voce ha creato ancheun dissidio all'interno dell'Onu: se l'Unicef dà loro ascolto e sostegno, l'Oil, Organizzazione internazionale del lavoro, sempre delle Nazioni Unite, schierandosi per l'abolizione del lavoro minorile, non vede di buon occhio i loro se e i loro ma.. Così anche i sindacati, in genere collegati all'Oil, non li appoggiano, anzi mantengono un diplomatico distacco.
Intanto i ragazzini si battono per l'applicazione della loro piattaforma, stesa nel 1996 a Kundapur, in India. Nella quale affermano di essere contrari al boicottaggio dei prodotti fabbricati dai bambini così come allo sfruttamento indiscriminato. I piccoli lavoratori chiedono anche rispetto e sicurezza per le loro attività, orari compatibili con l'età, cioè circa quattro ore al giorno, un'istruzione e una formazione professionale adatta alle loro condizioni, quindi prevalentemente informale, impegno reale per rimuovere le condizioni che li obbligano a lavorare così presto, maggiori investimenti nelle campagne per evitare la fuga di tanti bambini verso le città. Ma soprattutto chiedono di essere consultati per tutto quel che li riguarda.
Molte Ong, anche importanti come Save the children, danno ragione e appoggio ai Nats, altre invece non vogliono sentirne, di ragioni. "Ma non capiscono che a molti di questi bambini il lavoro, oltre che fornire i mezzi di sussistenza, dà identità sociale ed è la migliore opportunità di sfuggire alla droga, alla delinquenza, all'emarginazione sociale" osserva Aldo Prestipino presidente di Italianats, la prima organizzazione europea entrata nel movimento. "Negli anni novanta, il sindaco di Lima aveva assunto con orario ridotto i bambini di strada nel servizio giardini della città. Poi, con la Global March promossa dall'Oil nel 1997 contro il lavoro minorile, ha dovuto fare marcia indietro".
I Nats vorrebbero creare anche un marchio per i prodotti che fabbricano, da distribuire nel circuito del commercio equo, ma le certificazioni di produzione etica escludono tassativamenteil lavoro minorile: che fare? "Inserire una deroga" risponde Prestipino. "Non possiamo prendere decisioni su qualcosa agendo contro chi vive dentro questo qualcosa. Proviamo almeno a decidere insieme".

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