MEDITERRANEO: l'esodo si può fermare

Il . Inserito in Comunicati stampa

Quelli che oggi speculano sulla paura di invasione, trovano forza perché paventano che i numeri dei richiedenti asilo in Europa in pochi anni potrebbe raggiungere cifre a 6 zeri. Il clima esasperato dalla strumentalizzazione politica, non aiuta, come se l'esodo non si potesse fermare, mentre invece è possibile, utilizzando strumenti e piani adeguati.

Quello che occorre è assumere una iniziativa che vada oltre l'emergenza, perché l'emergenza non risolve anche se potrebbe effettivamente essere gestita diversamente, con un miglior coinvolgimento delle comunità locali.

Prima di tutto occorre una strategia complessiva a partire dalla comunicazione. Penso per esempio che ai macabri video messi sul web dall'Isis, dovremmo contrapporre un sistema informativo eccezionale, rivolto ai cittadini europei ma e soprattutto ai popoli africani, è indispensabile che si predispongano dei comunicati in arabo, francese, portoghese, spagnolo da far passare nei circuiti della rete e nei circuiti televisivi europei che vengono visti anche in Africa, raccontando come i trafficanti trattano coloro che vogliono attraversare il mediterraneo, parlare di come gli scafisti li infilano nelle stive, stipati e chiusi a chiave, e sottolineare i rischi di morte che il mare, attraversato da quelle carrette, rappresenta.

Un grande bombardamento mediatico, che spieghi dall'inizio alla fine, il dramma di un esodo così organizzato. Per televisione, per computer, per telefonino, coinvolgendo i grandi provider telefonici e web come: Vodafone, Google, Yahoo, ecc. dobbiamo raccontare la realtà, a queste masse prima che intraprendano il loro esodo, con il coinvolgimento di mediatori culturali e di un selezionato numero di migranti presenti nel nostro Paese.

Poi c'è una questione che va oltre l'emergenza e che non possiamo continuare a coprire colpevolmente.

Parlo della situazione dei Paesi da dove partono tanti disperati.

Noi in particolare dovremmo farci carico di quei Paesi dove abbiamo una responsabilità gravissima circa la situazione venutasi a determinare.

Noi eravamo il Paese di riferimento in Somalia, i nostri Governi negli anni 80 hanno finanziato e armato per anni il dittatore Siad Barre, al punto che nessun altro leader alternativo si è potuto affacciare sulla scena politica somala, perché veniva incarcerato quando non ammazzato, e il possesso di grandi quantità di danaro permetteva al dittatore di comperare il silenzio e la rinuncia ad ogni volontà di cambiamento.

Noi in Somalia, a quel punto, potevamo fare il peggio del peggio, senza nessun ostacolo..... La vicenda di Ilaria Alpi ha scoperchiato solo in parte il ruolo che noi italiani abbiamo avuto in Somalia con: traffici di rifiuti tossici e nocivi, di armi ecc.. e relative tangenti, cose che hanno contribuito in modo decisivo a rendere il Paese ingovernabile.

In Eritrea, Colonia italiana dal 1882 al 1946, eravamo fino al 2005 il Paese di riferimento, dove migliaia di eritrei parlano ancora italiano, non solo per il periodo coloniale, ma per le migliaia di loro sfuggiti alla dittatura dell'etiope Menghistu, negli anni 60, 70 e 80 in Italia dove hanno lavorato, studiato e organizzato il sostegno all'esercito di liberazione eritreo che nel 1991 ha sconfitto Menghistu ed è andato al potere. A seguito dell'insediamento del nuovo Governo ad Asmara sono rientrati da tutto il mondo migliaia di Eritrei, moltissimi dall'Italia. E anche grazie a loro, in circa un decennio, l'Eritrea, Paese grande quanto il triveneto, è entrata nel novero dei Paesi a più forte sviluppo economico e sociale.

In quel contesto la Cooperazione Italiana svolse un ruolo straordinario.

Ma le scelte politiche economiche e diplomatiche del nostro Paese presero una piega negativa, volevamo fare affari primo fra tutti la ricostruzione immobiliare, che poco centravano con gli interessi locali e sul piano internazionale non facemmo gli interessi dell'Eritrea. In particolare quando, in un rigurgito bellico, nel 1999 l'Etiopia decise di tornare a invadere l'Eritrea, il Governo Eritreo chiese all'Italia di farsi garante sui confini che erano stati tracciati proprio da noi Italiani nei primi del '900, ma non facemmo niente, anzi sembrava che volessimo trattare con l'Etiopia. A quel punto al Governo Eritreo si insediò una maggioranza militarista, la quale organizzò le difese e nell'arco di 5 mesi sconfisse gli etiopici. Sul fronte interno iniziarono le epurazioni dei leader democratici, furono incarcerati tutti i dissidenti, assieme a giornalisti ed intellettuali, le Ong espulse, le elezioni furono sospese definitivamente e nel 2006 Governo eritreo espulse il nostro Ambasciatore ad Asmara. La risposta miope del nostro Governo, tagliandosi tutti i ponti utili a riprendere le relazioni con il Paese, fu di espellere l'Ambasciatore Eritreo in Italia, personaggio laureatosi a Roma e grande leader dei fuoriusciti eritrei durante la dittatura di Menghistu. Un leader molto ascoltato dal Governo Eritreo. Così adesso siamo tagliati fuori, mentre sono migliaia gli Eritrei che salgono sui barconi.

In Libia, ancora oggi abbiamo legami significativi, ma li abbiamo usati solo per garantire i nostri interessi economici, a prescindere dal rispetto dei diritti umani e dalla democrazia. Abbiamo lavorato per decenni senza una sufficiente azione diplomatica internazionale, tant'è che in Europa e negli Stati uniti non solo non c'era la ben che minima condivisione sul nostro operato, ma era avversato.

La figuraccia che ci siamo trovati a fare, tra ricevimenti principeschi a Roma di Gheddafi e la totale dimenticanza dei più elementari principi di democrazia in Libia ci ha definitivamente squalificati, tanto che abbiamo dovuto subire l'iniziativa di Francia e Stati Uniti che, dopo aver ucciso il dittatore, ci hanno lasciato con il disastro da gestire.

Avere consapevolezza delle nostre responsabilità nel disastro di quei Paesi, credo sia importante, anche per considerare i “doveri” che ci aspettano.

Per fermare l'esodo, piuttosto che interventi militari occorrono piani di intervento, occorre mettere sul piatto risorse per permettere ai cittadini di quei Paesi di ritrovare la speranza che, almeno i loro figli, potranno vivere una vita degna di essere vissuta.

Un Padre di famiglia che non vede nessuna prospettiva per se e per i propri figli, è incentivato a partire o a far partire qualche figliolo a qualsiasi costo. Se solo ci fosse l'impegno europeo di un piano di rinascita di quei Paesi e si intervenisse tempestivamente, insomma se si aprisse una prospettiva di cambiamento, in grado di dare speranza a queste genti, l'esodo si fermerebbe.

La nuova legge di riforma della Cooperazione potrebbe dare al Governo l'occasione di testare un nuovo corso nelle relazioni diplomatiche in Somalia, Eritrea e Libia, con una serie di ONG che lavorino in modo efficace ed efficiente in accordo con la Cooperazione Italiana.

Certo occorre una grande azione che determini condizioni di sicurezza, e questo è possibile se partiamo da un altro approccio diplomatico, dove non andiamo lì per garantire i nostri affari, ma per essere portatori di soluzioni e di prospettive positive per tutti.

Ovviamente, in un frangente così drammatico, occorre portare gli stanziamenti della cooperazione a livello adeguato, finora non siamo stati capaci di rispettare lo stanziamento dello 0,7% del PIL, percentuale che ci eravamo impegnati ad assicurare, mentre oggi siamo fermi allo 0,16% (una cifra assolutamente inadeguata, tra l'altro usata in gran parte per l'emergenza o come doni in cambio di contratti economici).

Francia, Inghilterra, Belgio, Olanda, Danimarca, Portogallo, Spagna nei rispettivi Paesi di influenza potrebbero/dovrebbero fare altrettanto; in sostanza l'Europa deve aprire una nuova fase di relazioni, segnate non più dal mero sfruttamento delle risorse naturali a scapito delle persona, ma mettendo le persone al centro di una strategia di cooperazione solidale, finanziando dei piani di sviluppo in loco.

Un piano simile sarebbe utile anche alla nostra economia che, nella prima fase, avrebbe di che investire per formare quadri e ricostruire le economie di Paesi allo stremo.

Aldo Prestipino 20.4.2015

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