Report Benin 2008

Il . Inserito in Notizie dal mondo

A marzo una delle nostre socie si è recata in Benin per verificare la possibilità di ampliare il progetto iniziato da ASoC a dicembre 2007 con l'apertura della Bottega di Natale, che consenta la commercializzazione anche nel nostro Paese dei prodotti dei Bambini ed Adolescenti Lavoratori nel mondo. Ecco il resoconto della sua esperienza.
 

Rapporto di viaggio

Benin 10 - 22 marzo 2008

 

Tutto è cominciato a dicembre, durante la breve esperienza della Bottega di Natale che ASoC ha avuto a disposizione per commercializzare i prodotti dei Bambini ed Adolescenti Lavoratori (in sigla BAL), nel mondo. Si rilasciavano i manufatti dei bambini africani, indiani e sud americani in favore di sottoscrizioni, promuovendo e trasmettendo informazioni alle persone su chi sono i BAL e quali sono i diritti e i valori su cui si fondano i Movimenti.
I manufatti dei bambini erano per me sorprendenti in quanto espressione di laboriosità e creatività in un contesto molto povero. Mi immaginavo i bambini intenti in un lavoro degno che desse loro la possibilità di un riconoscimento sociale ed anche la forza di mantenersi; speravo che, come racconta la storia dei Movimenti, i bambini non fossero sfruttati e potessero anche studiare oltre che giocare come sarebbe giusto per tutti i bambini nel mondo.
Per noi di ASoC la breve e interessante attività della Bottega di Natale ha fatto nascere l’idea di un Progetto che mi avrebbe portato poi in Benin.
E’ nostro desiderio fare qualcosa di utile per queste realtà che vivono lontano dai riflettori del mondo occidentale. Vorremmo poter commercializzare i manufatti dei BAL attraverso reti che non siano le solite botteghe, ma rivolgersi alle Associazioni di Categoria Industriali e Artigianali; contattare industrie che operino nel settore infanzia e possano fare delle campagne promozionali distribuendo i prodotti dei BAL come gadget, per esempio.
Vorremmo creare un ponte di comunicazione culturale tra le realtà dei BAL e dei Movimenti e la nostra società operativa ed organizzata. Aprire una strada in cui possa transitare la cultura e la creatività dei BAL incontrando e confrontandoci con le nostre risorse, valorizzando la laboriosità e l’ingegno dei bambini. Vorremmo far conoscere molti dei prodotti fatti da questi bambini e adolescenti,  inoltre offrire ai BAL la possibilità di acquisire e o migliorare  una professione dando vita a progetti formativi in loco, magari in collaborazione con  maestri artigiani italiani che possano trasmettere la propria arte e mestiere nel rispetto delle diverse culture e dei diversi livelli di sviluppo in modo da garantire ai ragazzi la condizione di poter continuare a lavorare nel loro Paese.
Il tutto in percorso partecipato e trasparente.


Arrivo a Cotonou

Fabio ed io siamo ospitati nella nuova sede del CACEB, un appartamento spazioso, luminoso e spoglio di qualsiasi confort. Lo spirito di adattamento ci accomuna e accettiamo di buon grado la gentile ospitalità offerta dall’Associazione. Dall’Italia arriviamo con asciugamani, lenzuola, posate, moka per il caffè, pentolini e tazze, quanto basta per le prime necessità, anche se poi ci accorgiamo che manca la cucina. Siamo fortunati che troviamo due ventilatori, dato il caldo e l’umidità costanti in Benin.


Riunione CACEB  11 marzo 2008   
 

La mattina seguente ci troviamo con un’ora abbondante di ritardo rispetto il previsto per la riunione con i rappresentanti del CACEB (Coordiation des Activites du Commerce  Equitable au Benin), s’impara veloce che in Africa il tempo è sempre approssimativo.
Presenti all’incontro sono:
Rufine Adjute – coop. Arti- savon  (primo consigliere del Caceb), Ernest Fiogbe – coop. Acotemaz  (presidente del CDA), Justine – ass. AFA, (tesoriera del Caceb), Joan -  ong. ATP, Janin – resp. Atelier Batik, Bibien – resp. Atelier sartorial, Fabio Cattaneo di Equomercato, ed io Marina Magro per conto di ASoC e Italianats.

Fabio mi presenta al gruppo. Finché Fabio spiega la mia presenza in Benin, avverto subito sui volti degli amici africani espressioni di malcelata sorpresa poi di fermento e attese, l’energia che si genera è intensa e piena di aspettative. E’ abilità di Fabio rendere il tutto leggero e possibile nello stesso tempo, nonostante la solennità con cui ognuno di loro poi si presenta e presenta i propri progetti.
Dopo le presentazioni stabiliamo un piano di incontri e impegni giornalieri e in una nota finale il Presidente Ernest chiede di poter partecipare a qualche Fiera in Italia per promuovere sia il Progetto di Turismo Responsabile che stanno pianificando sia i loro prodotti artigianali.


Laboratorio di Serigrafia con i ragazzi del MAJET - Vedi foto

La sera stessa della riunione facciamo un primo incontro con i ragazzi della serigrafia. Arriviamo nel posto che è buio, solo una pallida luna coperta dalla foschia densa di umidità e smog illumina la corte dove alcuni ragazzi ci portano delle sedie e così in cerchio si comincia a dialogare. Dopo poco ci raggiunge il “padrone” del laboratorio e si unisce a noi. I ragazzi gli dimostrano una sorta di timorata riconoscenza, si avverte chiaramente.
Justine è la nostra interprete (alcuni ragazzi parlano solo il fon) e mediatrice e ci racconta che i ragazzi vengono dalla strada e che sono indirizzati da lei nel laboratorio di serigrafia dove normalmente rimangono per due, tre anni al fine di essere formati nella professione. I ragazzi (dai 12 ai 17 anni) raccontano che lavorano tutti i giorni tranne la domenica, che hanno una paghetta giornaliera, mangiano e dormono nel posto e la sera sono liberi di uscire. Alla domanda: cosa farete una volta terminata la formazione uno di loro risponde: “Vorrei avviare un mio laboratorio di serigrafia e formare altri ragazzi come noi”.
Terminiamo l’incontro con delle riflessioni insieme ai ragazzi e Fabio saluta incoraggiando il protagonismo di ognuno di loro.
La mattina seguente torniamo nuovamente alla serigrafia per vedere come si lavora.
L’ambiente avrebbe bisogno di una sistemata, manca un minimo di sicurezza: fili elettrici scoperti e a penzoloni, odori di vernici, non c’è aerazione sufficiente ne aspirazione ne ventilazione.


Mercato di Santa Rita - Vedi foto

E’ un mercato gestito da sole donne che vendono frutta, verdura e alimenti vari. Justine, che segue personalmente sia le donne dei villaggi che i bambini, ci accompagna. Arriviamo in occasione dell’unico incontro settimanale in cui i piccoli ricevono un po’ di scolarizzazione all’interno di una stanza posta a lato del mercato. Ed è subito gran festa: al ritmo scandito da un bongo tutti i piccoli a cantare e a ballare in una accoglienza davvero generosa.
I bambini più grandi (8-10 anni) stanno lavorando al P.C. ed il più esperto di loro, l’unico che va a scuola, istruisce i compagni nell’uso dell’informatica.
La maestra Rosa, che insegna in più mercati dove ci sono gruppi di bambini, ci racconta che ognuno di loro vive nella casa di una padrona che li ospita in cambio devono servire e tenere pulito. Intervistiamo una bimba di 7 anni che ci racconta la sua esperienza, con lo sguardo abbassato, toccandosi nervosamente le mani, emana una infinita tristezza: “sono al mercato da due anni e da allora non ho più visto la mia famiglia. La mia “padrona”mi dà ospitalità ed io mi devo occupare delle pulizie di casa dalle cinque di mattina fino alle sette, poi veniamo al mercato fino le dieci di sera. Al mercato sistemo la verdura e la frutta sul banco . A casa dopo cena devo rassettare e poi intorno mezzanotte vado a riposare.
Hanno fame e Fabio manda qualcuno a comperare del cibo. Dopo un po’ arriva un sacco di pane, filoni enormi, sporcati di maionese, sembrano troppo grandi per bocche così piccole.
 

Mercato di Dantokpa -  Vedi foto

Si può trovare qualsiasi cosa al Mercato di Dantokpa (sembra sia il più grande d’Africa), un ammasso umano spaventoso posizionato lungo l’argine del fiume dove la gente si lava e fa i propri bisogni. Il caldo umido fa appiccicare gli abiti al corpo e cammino con attenzione per non calpestare indumenti gettati a mucchi ovunque, spazi angusti pieni di cose, accavallati uno sull’altro, donne con bambini sulla schiena sedute a terra che cuciono, aggiustano, suddividono indumenti, altre friggono banane, cucinano cibo, vendono pane, banchi ricolmi di tutto; piccoli laboratori artigianali di sartoria dove uomini confezionano a macchina.
Con me ci sono Fabio e Justine. Ci inoltriamo nel mercato. Comincio a sentire un rumore metallico di ferro battuto; passo dopo passo cerco di non calpestare lastre di metallo arrugginito. Il rumore del ferro battuto sovrasta qualsiasi altro suono, l’odore del ferro è intenso e acre e copre l’odore di sudore di uomini che lavorano a ridurre in lastre piatte pentole vecchie, pezzi di lamiera di macchine e utensili abbandonati, lattine vuote ecc… Poi li scorgo, sono i bambini, avranno dagli 8 ai 15 anni. Tanti, tantissimi sorrisi di bambini tra gioia e stupore ci accolgono senza smettere il lavoro. Ci ricevono mostrandoci i loro bellissimi e artistici manufatti: angioletti colorati fatti con le lattine riciclate, aeroplani e motociclette costruiti con lamiera zincata saldata attorno candele di automobili, lanterne costruite con lampadine e pezzi di lattine colorate. Tra i mucchi di ferro ammassati qua e là, alcuni di loro inventano al momento danze al ritmo di un canto improvvisato, tanta è la gioia per la nostra visita.
Qualche giorno dopo ritorniamo al Mercato di Dantokpa per intervistare i ragazzi che lavorano il ferro. Si trovano all’interno di un vecchio container collocato nel mercato e adibito ad aula. Due mattine alla settimana per due ore consecutive i bambini ricevono un po’ d’istruzione ed hanno la possibilità di un confronto aperto tra di loro con la maestra. A volte cantano e ballano, altre ascoltano poesie, s’impara un po’ di numeri, un po’ di francese, comunque troppo poco.
All’interno della baracca il caldo è opprimente, dal tetto rotto rivoli di pioggia colano giù sui banchi. Poco dopo qualcuno porta un ventilatore. La lamiera arrugginita del vecchio container surriscalda ancor di più l’ambiente, ma i bambini sono contenti di riceverci. Fabio ha portato un cartone di merendine che vengono subito distribuite equamente a tutti i bambini dalla maestra. Chi infila le barrette nella cinta dei pantaloni, chi nelle tasche, al sicuro.
Cominciamo l’intervista. Justine traduce le nostre domande in fon ai bambini e poi ci riporta le risposte in francese. Alcuni di loro raccontano le loro esperienze. Pochi hanno studiato per due o tre anni poi la famiglia non aveva più soldi per mantenerli quindi sono dovuti entrare al mercato a servizio di un “padrone”. Altri sono arrivati al mercato da piccolini e non sono mai più usciti. Lavorano tutti i giorni tranne la domenica. Ricevono una piccola paga giornaliera che usano per comperarsi da mangiare, a volte i soldi non bastano ad assicurare un piatto di cibo. Alla domanda cosa vorreste per migliorare la vostra condizione, rispondono: “Studiare, imparare il francese per poter trattare personalmente con le persone, un pallone per giocare, un ventilatore e che sia riparato il tetto della baracca.
Quando vi ammalate o vi ferite cosa succede? A questa domanda tanti di loro mostrano dita della mano tumefatte, ferite alle gambe e al volto, noto anche lesioni infette; “Quando ci facciamo male il padrone aspetta che la ferita guarisca da sola, solo se non passa va a prendere la medicina.”
Sareste disposti ad uscire dal Mercato di Dantokpa per ricevere una formazione al lavoro? “Si certo imparare un mestiere che ci permetta di lavorare per comperarci da mangiare ma anche studiare.
 

 

Ho riportato le testimonianze più interessanti documentandole con fotografie e filmati che, appena pronti, verranno inseriti nel sito. Il materiale raccolto servirà a sviluppare il progetto di cooperazione per ASoC e Italianats.

 

                                                                                                             Marina Magro
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